Un’immagine che viene da lontano, come molte di quelle che ci ha lasciato Horst Paul Albert Bohrmann. La storia più lunga qui la racconta lei, la mensola, elemento che sin dai tempi del Giambellino separa e mette in comunicazione il mondo dell’immagine da quello di chi guarda. Un congegno ottico che per funzionare ha bisogno di un ponte, di un ente trasversale orientato verso lo spettatore; Horst sceglie il nastro che chiude il corsetto Mainbocher lasciandolo cadere, con un colpo di genio che sa di barocco, in modo tale da nascondere alla vista lo zoccolo sinistro del ripiano. Si crea così – anche in virtù della lunghezza della parte sospesa del laccio – un effetto di instabilità che dà peso alla seta e corpo all’ombra, non a caso proiettata da destra ad insistere anch’essa sulla parte più precaria della mensola. A questo punto la curva sinuosa di Madame Bernon – simbolo di femminilità fin dai tempi delle stilosissime madonne del gotico francese – sembra quasi disegnata dallo sforzo di equilibrare un fascio di tensioni, convergenti nella posa delle braccia che si estendono dall’ombra più profonda al punto di massima luminosità (posto non a caso sulla spalla in posizione simmetrica rispetto al nastro) e, modellando il perfetto sbalzo delle spalle, realizzano un ossimoro ottico di forza e sensualità.

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