Contesto, Contenuto, Forma. Se fossero assi cartesiani, l’analisi di una fotografia sarebbe  una curva nello spazio che essi definiscono. La forma e l’ampiezza del volume in cui questa linea può muoversi sarebbe determinato dalla quantità di informazioni disponibili per ciascuna dimensione. 

Di tanto in tanto, però, può essere interessante restringere volontariamente lo spazio a disposizione limitando nell’analisi le informazioni relative ad uno o due di questi domini.

Ad esempio, per valutare la potenza formale di questo celebre scatto, e della sua drastica elaborazione di vent’anni successiva, può essere interessante trascurare le notizie di contesto della sua produzione (un’analisi basata in larga parte su queste informazioni si può leggere all’indirizzo https://medium.com/italia/elisabeth-e-io-5aad563663e), se non per il dato  – desumibile dal titolo – della coincidenza dell’autore con l’uomo ritratto alla sinistra della donna, che a questo punto possiamo presumere sia Elizabeth.

Nel negare lo sguardo diretto all’obiettivo, l’uomo si dichiara come un “astante”, vale a dire come un personaggio che osserva il vero soggetto dell’opera. La mano poggiata sulla spalla destra, mentre in un’accezione plastica richiama una relazione “inglobante-inglobato” (che può trasmettere tanto un senso di protezione quanto di soffocamento), dal punto di vista figurativo assume un ruolo di “indicatore”, cioè di elemento che punta verso il baricentro della scena. In sostanza la funzione dell’uomo sembra soprattutto quella di sottolineare la centralità della compagna la quale, però, non ne ricambia lo sguardo; fissa il suo verso la macchina e quindi, si sarebbe portati a dire, verso lo “spettatore”, cioè verso di noi. Ma tra lei e noi c’è anche un altro attore, l’”osservatore”, l’entità il cui sguardo è riprodotto dall’immagine. Ma in questo caso sappiamo che il ruolo dell’osservatore è incarnato dal fotografo, e quindi in realtà, pur senza guardare l’uomo alla sua sinistra, lei lo sta fissando attraverso l’obiettivo. 

Il cerchio, apparentemente aperto, si chiude e ci riporta nel centro di gravità dell’immagine, lo sguardo della donna. Metafora forse involontaria dei rapporti umani, l’abbraccio – in verità un po’ rigido – accentua l’ombra della parte sinistra del viso di lei e le conferisce un’espressione enigmatica, quasi un velo di inquietudine che la parte destra, illuminata, non evidenzia e che sembra gelare l’espressione confortante con cui l’uomo la guarda. Una sensazione di tensione che si proietta sul mosso della mano sinistra della donna e ne condiziona l’interpretazione, aumentando l’impressione di apparente disagio di Elisabeth, anche se la posizione parallela della mano sinistra dell’uomo induce un senso di affinità ed armonia tra i due.

Difficile dire quanto questa analisi penetri nel rapporto tra il fotografo, André Kertesz,e la sua compagna. Di certo l’icastica elaborazione del 1962, insieme alla gran parte del fotogramma taglia via molti di questi elementi; resta la mano di lui a fare da “indicatore”, e dello sguardo verso il fotografo resta la parte illuminata, che da sola produce una espressione di maggiore franchezza. Una versione meno problematica che mette in luce un particolare facile da trascurare nella versione precedente: i tre bottoni del vestito di lei, ponte tra la mano e il viso, un elemento che sembra dare dinamismo ad un gesto che ne è privo.

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