Separare la causa dall’effetto, dividere le conclusioni dalla premessa, scindere l’antecedente dal conseguente. Raccomandazioni che si ascoltano spesso nei corsi intermedi di fotografia, utili per creare nelle immagini quelle che i fenomenologi della percezione chiamano “lacune strutturali”, assenze che inducono l’osservatore a colmarle creando un legame tra l’opera e chi la guarda. Ma, per quanto efficace, una raccomandazione non è mai una scorciatoia sicura. Funziona veramente solo se l’occhio la riempie di poesia, la carica di significati non tutti esprimibili a parole.
Qui, nella fotografia di Simone Nieweg ciò che manca è la parte superiore dell’albero in primo piano, ma le mele a terra ci permettono di ricostruire la forma della chioma, che immaginiamo protesa in diagonale verso di noi ed asimmetrica, straordinariamente coerente con la direzione obliqua del tronco e con le cicatrici delle potature. Ma non è solo un fattore geometrico e le mele a terra non sono un semplice riferimento “in absentia”; messe in primo piano ci parlano della cieca generosità della natura, della silenziosa, caparbia prevalenza dello sforzo come unica speranza per il conseguimento di un risultato, della apparente resa come premessa per la salvezza.
Che tutto questo si ritrovi in un’immagine proveniente dal portfolio di un’esponente dell’algida Scuola di Düsseldorf credo che possa far riflettere sul presunto distacco dell’approccio dei Becher e dei loro allievi. Qui ancora una volta la trasparenza dello stile è solo una strada per permettere ai nostri occhi e alle nostre menti di entrare in una sintonia non solo con l’immagine ma con la realtà che le sta dietro.
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