Un grande dipinto sospeso su un cassettone ottocentesco. L’ambientazione è quella tipica dei ‘portraits à la maison’ ma il taglio della foto dichiara subito che non è dello stato sociale dei soggetti che vuole parlarci. Lei, in veste da camera, è Anna Seitenmacher, moglie di August Sander, l’uomo dall’altra parte della macchina fotografica. Tra le braccia stringe Helmut e Sigrid gemelli eterozigoti appena venuti al mondo. La spossatezza del parto recente è visibile nelle rughe e nelle occhiaie della donna, che certo non potevano sperare pietà dalla implacabile fotografia di August. La geometria dei soggetti nel suo complesso ricorda quella di un ‘fleur de lys’, un giglio araldico in bianco e nero in cui le due piccole figure si dispongono come petali minori e acquistano il ruolo di punti limite della traiettoria dell’esistenza umana. Perché la veste candida che avvolge il piccolo corpo di Helmut e si estende fino ad occupare quasi l’intera base del ritratto è quella con cui da lì a poco sarà sepolto. A questa immagine della morte più assoluta, arrivata insieme e al posto della vita, si oppone quella di Sigrid che nella posa del braccio tradisce un impulso vitale assente nel livido abbandono del fratellino. Tra i due estremi c’è lei, Anna, e ci siamo noi, la vita, con le sue fatiche, abbracciata alla nascita e alla morte che la partoriscono e che, magari, ella stessa partorisce. Forse a causa della difficoltà di sorreggerlo, Anna tiene più in alto il piccolo cadavere di Helmut e, nella sua sostanziale equidistanza da entrambi i figli, volge il busto nella nella sua direzione e sembra stringerlo con più calore; un simbolo probabilmente involontario della invincibile attrazione della vita verso la morte racchiuso in un abbraccio appena accennato e per questo ancor più dolente al figlio dal quale dovrà da qui a poco congedarsi. Ma forse è meglio finirla qui, e resistere alla tentazione di postdatare i sentimenti che stanno tra l’emulsione e la carta di questa fotografia sconcertante, che ci racconta di un rapporto dell’uomo occidentale con la morte che un secolo fa aveva in comune con quello di un millennio prima molto di più di quanto condivide con quel misto di rimozione e tabù in cui si è trasformato nei successivi cento anni.

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